L'Urlo della Mandragora




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Mandragora: da secoli e secoli ne parlano occultisti, maghi, alchimisti, erboristi, elecandone le prodigiose proprietà, ma pochi hanno avuto la fortuna di vederne un esemplare.
Eppure (ci dicono i manuali di botanica) la mandragora è abbastanza comune nell'Europa meridionale: in Italia la si può trovare in luoghi sassosi e ombrosi, tanto al mare che in montagna. Però, avvertono gli stessi testi, è una pianta rara.
Anzitutto non è facilmente identificabile, tanto che solo gli esperti la riconoscono. La parte fuoruscente dal terreno è costituito da un ciuffo d'erba in cui, all'epoca della fioritura, occhieggia una piccola corolla azzurra. Quella più notevole è nascosta sottoterra: la radice può essere infatti molto lunga, anche fino a un metro, e grossa più di 30 centimetri; caratteristico è il suo odore, decisamente fetido.
Pure la mandragora appartiene alla famiglia delle Solanacee ed è, quindi, parente della belladonna e dello stramonio: contiene parecchi alcaloidi, alcuni dei quali non ancora identificati, con azione molto simile all'atropina.
La radice ha una forma vagamente antropomorfa, in quanto si biforca in due tronconi. Come a tutte le piante aventi una certa somiglianza con il corpo umano, anche ad essa è attribuita un'azione tanto afrodisiaca quanto propiziatrice della virilità e della fecondità. Ma come si spiegano tutti gli altri suoi presunti poteri che le hanno assegnato il ruolo di "regina delle piante magiche"?
è un mistero che neppure le leggende - numerosissime - ci aiutano a svelare. Perché è diffusa fin dall'antichità la credenza secondo cui la mandragora "urlerebbe" nel momento in cui viene estratta dal terreno e si darebbe poi a terribili vendette, tanto più che non la si potrebbe cogliere impunemente senza seguire un preciso rituale?
Non sappiamo: certo è che già Apuleio nel V secolo Cristo, ci descrive l'esatta maniera di procedere, così ripresa da un trattato medioevale: "In una notte illune ci si rechi sul posto e si cominci a scavare con un arnese che non abbia alcuna parte di ferro. Quando si saranno scoperte le braccia e le gambe della mandragora, si leghi a queste una corda di cui si sarà fissata l'altra estremità al collare di un cane affamato. Si lanci poi il più lontano possibile un pezzo di carne: l'animale si getterà a raccoglierlo e, così facendo, estrarrà dal terreno la radice preziosa. Sentendosi strappata dal suolo, la mandragora fa udire un terribile grido d'agonia, capace di uccidere un uomo; nell'istante in cui il cane la sradica, perciò, si soffi forte dentro un corno, il suono del quale coprirà l'urlo della pianta, salvando chi la raccoglie. La morte della mandragora esige il sacrificio di una vita: si uccida dunque il cane, se non si vuol pagare il prodigioso acquisto con la propria esistenza."
Ma la mandragora era conosciuta in tempi molto anteriori. Ce ne parla addirittura la Genesi (XXX,14) dicendoci che Reuben, avendone trovata una, la portò alla madre Lea. Rachele, venuta a sapere della cosa, supplicò la donna di cedergliela: mangiandola, sperava di poter finalmente avere un figlio.
In Grecia la pianta è citata da Asclepio un millennio prima della nostra era, e poco dopo troviamo un'indicazione terapeutica volta a combattere la malinconia e la depressione.
A Roma, nel primo secolo dopo Cristo, Celso Aulo Cornelio afferma, nel suo "De re medica", che la mandragora è un ottimo sonnifero: non occorre neppure preparare un decotto o mangiarla, basta metterla sotto il letto. E Antonio Musa, un medico dell'Urbe imperiale, descrive una panacea universale, a base di semi di giusquiamo e mandragora.
A definire la pianta "antropomorfa" pare sia stato Plinio, il quale ne distinse anche il sesso: quella bianca è maschio, quella nera femmina. La botanica, al contrario, prende in esame solo la grandezza: la femmina è quella più piccola.
Il periodo aureo della mandragora fu ovviamente il medioevo. Cominciarono a circolare storie assurde: si diceva che la pianta nasceva dal sangue dei decapitati oppure dal seme degli impiccati; di qui le macabre ricerche notturne ai piedi dei patiboli, mentre tornava in auge l'antico rituale per estrarla. Era usata ad innumerevoli scopi: nei filtri d'amore, per attirare il denaro, per aumentare il fascino della donna, per sviluppare poteri medianici, per assicurare l'invulnerabilità. In Germania (dove è chiamata Alraum, derivato da "runa", che significa "arcano") con la sua radice si tessevano addirittura vesti per guerrieri, alle quali era attribuito il potere di respingere le armi nemiche.
L'occultista francese Lémery (1727) asserisce: "La mandragora di specie maschile serve a far sì che il prossimo soggiaccia alla volontà del mago ed è usata soprattutto in magia nera, mentre la mandragora femmina ha una parte preponderante nei rimedi d'amore, assicurando l'affetto del compagno o della compagna, accrescendo il desiderio e la fedeltà."
Il naturalista Fodéré afferma di avere raccolto una pianta di mandragora e di averla portata nel proprio laboratorio, provando però sensazioni molto spiacevoli tali da procurargli una serie di malesseri: un senso di vertigine, di debolezza, unito a un languore che lo rese incapace non soltanto di lavorare ma persino di stare in piedi. Tutto questo svanì non appena ebbe aperto la finestra. Lo stesso Fodéré attribuisce gli strani effetti della pianta non soltanto al suo odore nauseabondo, ma a qualcosa che né li né i suoi assistenti riuscirono a chiarire.
Ancora nel 1947 un moderno alchimista francese assicura che "possedere una mandragora significa avere nelle mani una forza irresistibile, ricchezza, potere, amore."
Ci si espone però a grandissimi rischi, perchè soltanto il Diavolo può fare in modo che si rintracci questa pianta, che gli è indissolubilmente legata. In tal modo, impossessandosene, ci si porta praticamente in casa il Demonio, il quale potrebbe comparire quando si esprimono pretese esagerate, esaudendo sì i desideri, ma pretendendo in compenso l'anima di chi li esprime.
Secondo Lavile, un altro occultista d'Oltralpe, la mandragora, nascosta in un mazzo di violette, assicura sia un grande ardore amoroso sia l'attaccamento supremo della persona che si vuole conquistare. La composizione del mazzetto profumato è probabilmente dettata dalla necessità di soffocare l'odore, non certo piacevole, emanato dalla mandragora. Attenzione a non usare fiori a caso: frammenti di mandragora mescolati a viole, iris e clematidi, possono con l'andare del tempo, provocare uno stato di languore, di spossatezza il quale potrebbe anche condurre alla morte.
Dobbiamo sorridere a queste credenze? Sì, ma non troppo. La suggestione, si sa, pesa molto, e la mandragora si porta appresso millenni di tenebrosi significati magici ai quali è difficile opporre la ragione. Possiamo tuttavia ricordare che un noto erborista contemporaneo, Sother Turtula, ebbe la fortuna di trovare in Italia una bellissima mandragora, la cui radice misurava 81 cm di lunghezza. La colse dal suolo con tutta la delicatezza possibile, quella che bisognerebbe sempre usare per separare i vegetali dal loro ambiente naturale, ma non ricorse ad alcun rituale: non aspettò "una notte illune", non si servì di un cane, non compì alcun sacrificio non adoperò un arnese speciale, e malgrado ciò, non udì alcun urlo né venne colpito da alcun maleficio.



"Anthropomorphos", così Pitagora chiamava la mandragora, pianta erbacea della famiglia delle Solanacee, diffusa in tutta l'Europa meridionale, il cui nome, datole dal medico greco Ippocrate, sembra derivi dal persiano "mehregiah" (erba dell'amore).
Conosciuta nell'antichità come afrodisiaca, la mandragora godeva fame di possedere straordinarie virtù terapeutiche, come ad esempio curare la sterilità femminile. A tutto il XIV secolo la pianta era parte integrante della teriaca, mentre la religiosa Ildegarda di Bingen (una delle donne più geniali dell'intero Medioevo, nota di Lunaria) l'apprezzava come antidolorifico. Sbalorditive erano le capacità magiche attribuitele. Ma la radice di mandragora, importantissima nella composizione di filtri d'amore, poteva anche provocare allucinazioni, deliri o addirittura follia. Nel Medioevo le streghe consumavano nei Sabba grandi quantità di pozioni a base di mandragora, anche per acquistare poteri eccezionali. A tale proposito Njanaud, nel suo trattato sulla Licantropia, del 1615, riferisce di un particolare unguento a base di mandragora che le streghe adoperavano per trasformarsi in animali: la famosa Licantropia!






 "In un'anfora si pongano tre libbre di scorza di radice di mandragora  e di vino dolce, che si pone a macerare il tutto, in vino dolce. Chi deve essere operato dovrà bere tre calici di questa pozione, allo scopo di non avvertire il dolore del taglio" è quanto consigliava nel Medioevo il "Codice Viennese 93". Dall'odore fetido, la radice di mandragora (dotata di una notevole tossicità) ha attualmente una scarsa importanza farmacologica. Contiene atropina, attualmente utilizzata in medicina.

Per curiosità: ad Atene, verso la fine del XIX secolo, i giovani portavano pezzetti di mandragora nelle loro borse come amuleti d'amore.

La leggenda dell'urlo della Mandragora ha ispirato anche la band italiana Mandragora Scream per il loro nome!