Flora Alpina

 






































La tragica storia di Gabrina degli Albeti

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Gabrina degli Albeti fu una delle prime donne inquisite, a cui tagliarono la lingua. Il suo "crimine" fu quello di aver consigliato a delle donne picchiate dai mariti di far loro bere la camomilla.

Inizialmente, i roghi si accesero per gli eretici: catari, valdesi, anche ebrei. 

Ma dalla seconda metà del XIII secolo, quando cioè andò diminuendo il timore per l'eresia catara, gli inquisitori indirizzarono le loro ricerche verso il mondo della magie, delle superstizioni e delle pratiche in bilico tra medicina popolare e Paganesimo. Così accadde ad una donna anziana di subire uno tra i primi processi italiani di stregoneria: Gabrina degli Albeti, cittadina di Reggio Emilia. Un giorno di piena estate del 1375, il 28 luglio, nella città di Reggio Emilia si dette inizio all'inquisizione nei confronti di Gabrina, "mulier malefica". Gabrina non era una donna di umili origini e non risulta che avesse esercitato la stregoneria per motivi di guadagno. Aveva insegnato a molte persone incantesimi e pozioni con le erbe, "facere cum herbis". Ma il binomio "donna-raccoglitrice di erba" era antichissimo. Nel corso dei secoli, l'atteggiamento della chiesa nei confronti delle "Herbariae" era passato dal disinteresse al leggero rimprovero sino alla condanna esplicita.

La condanna a Gabrina, il "Facere cum herbis" non era quindi una cosa da poco.

Nel 1400 fra' Filippo di Siena avrebbe bollato le "Herbariae" come "medici del diavolo che dànnosi a credere che quello che Dio non vuole fare egli el possano fare e diavoli dell'inferno"

A partire dal XV secolo, cioè pochi anni dopo il processo contro Gabrina, le Herbariae verranno definitivamente accusate di essere streghe e più precisamente di essere "baculariae, che sono trasportate per virtù del demonio su un bastone, o come pixidarie dalle pissidi nelle quali mettono gli unguenti"

In particolare, Gabrina avrebbe consigliato alle mogli picchiate dai mariti maneschi di somministrare loro della camomilla!

Il tribunale non giudicò Gabrina passibile della pena di morte tramite rogo, ma nemmeno di una semplice pena pecuniaria. Gabrina venne condannata all'amputazione della lingua e ad essere marchiata a fuoco. Anche il suo nome venne colpito da una "damnatio memoriae" perché l'appellativo Gabrina scomparve dai registri di Reggio. Ricomparve, come nome, nell'"Orlando Furioso": "Gabrina è il nome di costei, che nacque/sol per tradire ognun che in man le cada". L'Ariosto la chiama "brutta strega, vecchia deforme, rugosa, viziosa, avvelenatrice"; dai tempi di Gabrina all'Ariosto era passato più di un secolo, ma il ricordo della donna e del suo processo restò a lungo nella memoria collettiva dei cittadini di Reggio. Anche nel 1553 Gian Francesco Straparola usa il nome di Gabrina e infine Benedetto Menzini in una satira del 1718 chiama "Gabrine" le donne perdute che il popolo riconosce a prima vista; insomma, il nome Gabrina era diventato sinonimo di furbizia, stregoneria, malvagità. Scomparve Gabrina tra i nomi di donna, restò solo il nome di strega.


Introduzione alla Tossicologia

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"Ogni sostanza è veleno e nessuna è perfettamente innocua; soltanto la dose ne determina la velenosità" (Paracelso)

La definizione di Paracelso non richiede ulteriori chiarimenti e rimane pienamente valida anche ai giorni nostri. "Veleno" è un termine dal significato molto relativo: qualsiasi veleno può, in particolari dosi, rivelarsi un medicamento, mentre, teoricamente qualsiasi sostanza cosiddetta inoffensiva può essere tossica a dosi elevate. Questa definizione trova ampio impiego in tossicologia, una scienza di origine piuttosto recente che si occupa dei veleni e dei loro effetti sugli esseri viventi. 

La scienza attuale definisce il veleno nel modo seguente: veleno è ogni sostanza la quale, per la sua particolare composizione chimica, in alcune condizioni e in determinate quantità e forme, può alterare la struttura e le funzioni di uno o più organi in modo tale da danneggiarne seriamente la salute e il benessere e anche causarne il decesso. Il veleno non è solo una sostanza che provoca il decesso, ma anche una sostanza in grado di provocare gravi alterazioni, anche solo temporanee.

In natura, i veleni non sono monopolio delle sole piante. Alcuni minerali, generalmente contenenti metalli pesanti, si rivelano pure particolarmente pericolosi. Intossicazioni croniche sono state causate a minatori e a fondatori da piombo, zinco, mercurio, bismuto, arsenico, fosforo e loro composti. Allo stesso modo, anche sostanze gassose come il biossido, il monossido di carbonio, il solfuro di idrogeno possono rivelarsi letali.

Anche il regno animale comprende specie velenose, o meglio, specie che producono sostanze tossiche aventi scopo difensivo o offensivo, per catturare le prede. Delle oltre 1500 specie di ofidi (serpenti) attualmente conosciute, circa 900 sono velenose. Anche molluschi e echinodermi possono essere velenosi, così come scorpioni, millepiedi, ragni, insetti.

Circa un terzo delle specie vegetali produce sostanze velenose. Dopo il pascolo su prati infestati da specie velenose, cavalli, pecore, bovini mostrano sintomi di intossicazione (e spesso il veleno passa anche nell'uomo)

Anche frutti come fragole, pesche, albicocche, se consumate in grande quantità, possono essere nocive; danni ai reni possono essere provocati dall'uso eccessivo di sedano; sintomi di avvelenamento sono stati descritti quale risultato dell'eccessivo impiego di paprika e di pepe negli alimenti. Ugualmente pericoloso è l'uso in grandi quantità di alcuni condimenti come chili e curry. Questi esempi confermano la validità della citazione di Paracelso riportata all'inizio.

Esistono poi sostanze vegetali velenose per l'uomo ma non per gli animali e viceversa. I frutti del tasso (Taxus baccata) vengono ingeriti dagli uccelli senza subire alcun danno; le larve della dorifora riescono a crescere nutrendosi delle foglie di Belladonna (Atropa belladonna) che contengono alcaloidi tossici quali l'atropina; quest'ultima si ritrova addirittura nel corpo delle larve. Le capre possono brucare foglie di belladonna senza alcun danno, ma il loro latte (e carne) diventano tossici per l'uomo. Anche le api visitano piante velenose. Nonostante le sostanze tossiche siano anche presenti a volte nei fiori, le api non subiscono alcun danno. Il miele prodotto con il nettare di queste piante, però, si rivela tossico per l'uomo: il miele di oleandro, di rododendro, sono tossici, anche se le api "diluiscono" il nettare velenoso di rododendro suggendo il nettare di migliaia di altri fiori, facendo perdere, o quasi, la sua tossicità.

Nota di Lunaria: aggiungo qualche nome di "pianta famigerata" e una breve storia dell'erboristeria

Quando ci occupiamo del mondo vegetale, cioè di botanica (dal greco "botàne", pianta) usiamo la parola pianta; ma è una parola un po' generica, non riesce a precisare esattamente di quale tipo di vegetale si tratti. Per questo dividiamo le piante in 3 grandi gruppi:

Alberi: cioè piante aventi fusto perenne, legnoso, talvolta enorme

Arbusti: piante col fusto perenne e legnoso, ramificato fin dalla base

 ⦁ Erbe: piante col fusto non legnoso e non persistente, chiamato stelo

 Le erbe sono le più umili pianticelle, appartenenti a migliaia di specie, che formano prati, pascoli, praterie, savane; che crescono ovunque, sui muri, sulle rocce, in mezzo alle strade, nelle fessure dei marciapiedi.


La famiglia delle erbe

Da come si è precedentemente detto, esistono migliaia di specie, ma la maggior parte di esse appartengono a tre grandi famiglie: le graminacee, le leguminose, le composite.

Le graminacee formano la più importante famiglia del regno vegetale: frumento, riso, mais, segala, avena, canna da zucchero, Poa, Fieno stellino, Orzo selvatico.

Le composite (che sono chiamate così perché hanno il fiore composto da più fiorellini) comprendono fra le altre erbe la camomilla e il tarassaco. (Sonchus asper raggiunge anche 1.70 di altezza!)

Le leguminose (chiamate così perché il loro frutto è un legume) formano una famiglia simpaticissima agli erbivori perché è il loro principale cibo.


Le Erbe Officinali

"Officinale" deriva dal latino "Officina", laboratorio, che più tardi significò farmacia. Le Officinali sono le erbe usate in farmacia - per secoli le erbe sono state le uniche medicine conosciute - 

Ecco qualche erba:

Aconito: le foglie e le radici contengono l'aconitina, sostanza che è un tremendo veleno: 5-6 milligrammi sono mortali 

In dosi minime (decimi di milligrammo) l'aconitina si può usare contro nevralgie e bronchiti.

àrnica Montana: con foglie, radici e fiori si prepara la conosciutissima tintura di àrnica che si usa per impacchi. 

Digitale: una delle officinali più importanti. Dalle sue foglie si estrae la tintura di digitale, che ha una potente azione sul cuore, cioè è cardiotonica: regola e stimola il funzionamento del cuore. In dosi maggiori, è un potente veleno.

Giusquiamo: altra pianta velenosa. Hyoscyamus Niger è conosciuto fin dall'antichità per le sue virtù terapeutiche, ed era compreso tra le piante medicinali egizie perchè è nominato nel famoso papiro di Ebers. Citato da Dioscoride, non ignorato dagli Arabi, nel Medioevo entrò nell'alone cupo della fama delle streghe. Il Giusquiamo è una pianta vischiosa e fetida, i cui principi attivi ne fanno un sedativo nervoso usato contro i dolori nevritici, gli spasmi dell'apparato digerente, l'alcoolismo e le malattie mentali accompagnate da eccitazione o melanconia. Poichè contiene alcaloidi velenosi la sua utilizzazione può essere attuata esclusivamente sotto il controllo del medico; all'esterno, un cataplasma di foglie di Giusquiamo lenisce il dolore. 

Valeriana: l'estratto di valeriana che si estrae dal rizoma della pianta è un conosciutissimo sedativo: calma l'esagerata eccitazione, l'insonnia, le palpitazioni di cuore ecc.

Belladonna: contiene l'atropina, che si usa in minime dosi per calmare dolori vescicali. Può anche provocare la dilatazione della pupilla: le dame del Rinascimento la usavano proprio per rendere lo sguardo più seducente, da qui il nome "Belladonna"!


Brevissima storia dell'erboristeria

Le erbe, insieme ai frutti sono state certamente il primo cibo dell'uomo. I nostri progenitori impararono presto a riconoscere e raccogliere le erbe migliori e in un secondo tempo cominciarono a scoprire che alcune di esse curavano dolori, malesseri, davano energia oppure calmavano. Gli antichi medici preparavano tutte le loro medicine a base di erbe [e qui sarebbe meglio usare il femminile, visto che durante la "caccia alle streghe" erano proprio le donne a venir accusate di essere "Herbariae" - vedi approfondimento sotto] 

Già nel 3600 avanti cristo apparve in Cina un testo con la descrizione di numerose piante medicinali e dalle proprietà terapeutiche. In Europa ci si mise su questa strada più tardi. Comunque, nel 350 a.c, Diocle di Caristo, medico greco, compilò un importante erbario. Il primo erbario illustrato fu compilato invece dal botanico greco Crateva, medico di Mitridate VI re del Ponto. Tutti questi, ad ogni modo, rimanevano studi isolati, perché di botanica - come di zoologia - si avevano nozioni piuttosto confuse. Intorno alla metà del '400, l'invenzione della stampa diede una nuova vigorosa spinta alla diffusione degli erbari e dei trattati di farmacologia e gli studi di quel periodo divennero sempre più scientifici, cioè esatti e basati sull'osservazione e sullo studio accurato dei vegetali. Successivamente si isolarono le prime sostanze medicinali, si scoprirono alcaloidi, veleni, si perfezionò la classificazione.


Fiori di... plastica