Il Frassino e il Gelso



Da "Il libro delle piante magiche"

IL FRASSINO

Quest'albero, che cresce nei boschi di montagna, è notoriamente utile per il legno chiaro e forte che, nelle antiche credenze, rappresenta spesso l'onestà e la forza delle persone a cui venga dedicato dalla nascita. Le sue ceneri godono fama di possedere virtù curative eccezionali, e furono quindi usate per fabbricare vari impiastri.
Se avete un frassino nel vostro giardino - aggiungono gli inglesi - osservatelo attentamente: ogni suo malanno ne rifletterà uno proprio a voi o a qualcuno dei vostri cari. Guai, poi, se l'albero fosse abbattuto o morisse per qualsiasi causa: ciò segnerebbe un imminente lutto familiare.
La credenza ha un'antica superstizione, secondo cui una strega venne cacciata dal palazzo di un sovrano a cui aveva chiesto cibo e rifugio, proprio con un ramo di frassino. Lanciata la tradizionale maledizione, la strega la lasciò operante per secoli, tanto da far nascere la convinzione che ogni frassino caduto o rinsecchito causasse la morte di un membro della famiglia reale entro un anno.
A supporto di questa "teoria" viene portata l'esecuzione di Carlo I, re d'Inghilterra e di Scozia, decapitato nel 1649, esattamente un anno dopo che era stato abbattuto il suo frassino.
Stando a un'altra credenza diffusa un po' ovunque, il frassino respingerebbe i serpenti in genere e le vipere in particolare: è certo per questo motivo che per tanto tempo i bastoni da passeggio sono stati tratti preferibilmente da tale pianta.
Del frassino si parla nella mitologia germanica come dell'albero cosmico: eternamente verde, unisce il Cielo alla Terra, e dalle sue fronde si sparge la rugiada. Le sue radici vanno in tre direzioni: una conduce al mondo sotterraneo, agli inferi, l'altra al regno dei giganti del gelo e la terza a quello degli uomini.
Alla sommità della pianta si incontrano gli Dei i quali si servono di uno scoiattolo per far giungere i loro messaggi agli umani.






IL GELSO

La storia di Piramo e Tisbe, che sta alla base del mito sulle bacche del gelso (le more sono prima bianche, poi rosse e infine viola scuro), è tragica. Ovidio, il primo autore che la narra, la colloca a Babilonia, e quindi se ne deduce che la leggenda non è greca, ma asiatica. I due splendidi giovani si amavano teneramente ma di nascosto a causa dell'opposizione delle famiglie. Le loro case erano vicine, sicché essi si parlavano attraverso una crepa del muro divisorio, però non potevano vedersi né abbracciarsi. Così si diedero appuntamento a una fonte, sotto un gelso, "fecondo di bianche frutta" che li riparava dagli sguardi indiscreti. Ma un giorno Tisbe, arrivando per prima, fu terrorizzata scorgendo una leonessa venuta a bere e fuggì lasciando cadere il suo velo che la leonessa trovò sul sentiero. Con le fauci insanguinate, perché aveva appena ucciso una preda, lo lacerò. In quel mentre giunse Piramo, il quale, vedendo le tracce della leonessa, poi il velo macchiato di sangue, credette che Tisbe fosse morta. Disperato, se ne sentì responsabile e non potendo sopravvivere alla sua amata, si affondò la spada nel cuore. Il sangue, sgorgando, tinse di rosso i frutti del gelso. Tornata sui suoi passi, Tisbe non ne riconobbe il colore, ma vide il corpo del suo amato a terra e, decisa a ritrovarlo nella morte, così parlò al gelso:

"Albero, tu che ricopri coi rami ora il misero corpo d'uno di noi, coprirai tra non molto la salma di due.
Serba le macchie del sangue e col sangue ognor scure le frutta, che ben s'adattano al lutto, ricordo di duplice morte!
Disse: ed all'infimo petto s'oppone la punta del ferro caldo tuttora del sangue dell'altro e si lascia cadere.
Ne secondarono il voto per altro gli Dei e i parenti serbano scuro il colore le bacche mature del gelso ed un'unica tomba le ceneri posano insieme"

Da questa storia drammatica Théophile de Viau trasse nel 1617 una tragedia.