Stralci tratti da Mircea Eliade "Trattato di Storia delle Religioni"
I Peruviani credono che le piante utili siano animate da una forza divina, che assicura la loro crescita e fertilità; l'effigie della ‘Madre del Granturco’ ("zara-mama"), per esempio, è fatta di fusti di granturco in forma di donna, e gli indigeni credono che ‘in quanto madre, ha il potere di produrre molto granturco’. Questa effigie è conservata fino al raccolto successivo, ma verso la metà dell'anno gli ‘stregoni’ le domandano se ha la forza di durare, e se la "zara-mama" risponde che si sente debole, la bruciano e ne fanno un'altra perché la sementa del granturco non perisca.
Gli Indonesiani conoscono uno ‘spirito del riso’, potenza che fa crescere e fruttificare il riso; per questo trattano il fiore del riso come una donna gravida, prendendo molte precauzioni per captare lo ‘spirito’, chiuderlo in un canestro e conservarlo con cura nel granaio del riso. Se le piante appassiscono, i Karen della Birmania credono che l'anima ("Kelahz") del riso si è staccata da loro, e se non si riesce a riportarvela, il raccolto è perduto. Per questo si rivolgono certe formule all'‘anima’, alla forza che sembra non più attiva nella pianta: ‘Oh vieni, "Kelah" del riso, vieni! Vieni nel campo, vieni nel riso. Con semi dei due sessi, vieni! Vieni dal fiume Kho, vieni dal fiume Kaw, dal luogo dove si incontrano, vieni! Vieni dall'Occidente, vieni dall'Oriente. Dal gozzo dell'uccello, dalle mascelle della scimmia, dalla gola dell'elefante. Vieni dalla sorgente dei fiumi e dal loro estuario. Vieni dal paese dello Shan e del Birmano. Dai regni remoti, da tutti i granai, oh vieni. O Kelah del riso, vieni nel riso’. I Minangkabauer di Sumatra credono che il riso sia protetto da uno spirito femminile, Saning Sari, che si chiama anche "indoea padi" (letteralmente ‘Madre del riso’). Certi cespi di riso, coltivati con cura speciale e trapiantati in mezzo al campo, rappresentano questa "indoea padi", e la sua forza esemplare si esercita in modo coattivo e benefico sull'intero raccolto. Una ‘Madre del Riso’ ("ineno pae") è nota anche ai Tomori delle Celebes. Nella penisola malese, Skeat ha assistito alle cerimonie per la ‘Madre del Riso bambino’, dalle quali risulta che durante tre giorni la moglie dell'agricoltore è assimilata a una puerpera, appena l'‘anima del riso bambino’ è stata portata in casa. Nelle isole di Giava, Bali e Sombok si celebrano gli sponsali e le nozze di due pugni di riso, scelto fra le piante maturate prima dell'inizio del raccolto. La coppia di sposi è portata a casa e collocata nel granaio, ‘perché il riso possa moltiplicarsi’. In questi ultimi esempi si tratta di mescolanza di due rappresentazioni: la forza che moltiplica le piante e la magìa fecondatrice del matrimonio.
Si direbbe che questa personificazione della ‘forza’ attiva nella vegetazione si attui completamente quando i mietitori fanno, con le ultime spighe, un'effigie somigliante il più possibile a una figura umana, per solito una donna, oppure ornano di paglia una persona vera, dandole il nome dell'essere mitico che deve rappresentare; questa persona rappresenta sempre una certa parte cerimoniale. Così, in Danimarca, l'effigie chiamata ‘il Vecchio’ ("gammelmanden") è ornata di fiori e portata a casa con molti riguardi. Ma, secondo altre informazioni, si dava forma umana all'ultimo covone, raffigurandovi testa, braccia e gambe, e si gettava nel campo non ancora mietuto del vicino. Presso i Tedeschi, ‘la Vecchia’ o ‘il Vecchio’ erano gettati nel campo del vicino, o portati a casa e conservati fino al raccolto successivo. Però il mietitore che falciava l'ultimo covone, o l'estraneo che per caso passava lungo il campo, o il contadino stesso, erano identificati con quest'essere mitico. In Svezia, per esempio, la ragazza che falciava le ultime spighe doveva attaccarsele al collo, portarle a casa, e nella festa per la fine della mietitura doveva ballare con quest'effigie.
In Danimarca la falciatrice balla con il fantoccio formato dalle ultime spighe e piange, considerandosi ‘vedova’, poiché è sposata a un essere mitico destinato alla morte. In Scozia, l'ultimo pugno di grano è chiamato la ‘Vecchia’ ("Cailleach") (*), e ciascuno cerca di evitare che spetti a lui falciarlo, per paura della carestia, perché si crede che gli toccherebbe di dar da mangiare a una vecchia immaginaria fino al raccolto successivo. I Norvegesi credono che "skurekail" (‘il mietitore’) vive tutto l'anno sui campi, non veduto, e mangia il grano del contadino. Viene catturato nell'ultimo covone, col quale si fa un fantoccio antropomorfo chiamato "skurekail" I Bulgari chiamano l'ultimo covone ‘Regina del Grano’; lo vestono con una camicia da donna, lo portano in giro per il villaggio, poi lo gettano a fiume per assicurare la pioggia, in vista del successivo raccolto; oppure lo bruciano e ne spargono poi le ceneri sui campi per accrescerne la fertilità.
(*) Nota di Lunaria: in realtà il simbolismo di Cailleach, Dea irlandese\scozzese è molto più complesso: Cailleach è la Crone, la Vecchia, Dea Strega. è conosciuta anche come Beira, la Regina dell'Inverno: avrebbe creato montagne e colline camminando e facendo cadere rocce dal suo grembiule. Ha sempre con sé un grosso martello. Le Cailleachan sono le Streghe delle Tempeste.
In certe regioni della Germania, l'estraneo è legato dai mietitori e deve pagare una multa per ricuperare la libertà. Il gioco è accompagnato da canzoni, che parlano chiaro; in Pomerania, per esempio, il capo dei mietitori dice:
‘Gli uomini sono pronti, le falci sono curve, il grano è grande e piccolo. Si tratta di falciare quel signore!’
E nel distretto di Stettino:
‘Colpiremo il visitatore, con le nostre spade nude, con cui tosiamo campi e prati.’
La stessa usanza vige contro l'estraneo che si avvicina all'aia della battitura: viene catturato, legato e minacciato. E' probabile che queste siano reminiscenze di un complesso drammatico rituale implicante un vero sacrificio umano. Non bisogna supporre, in base a queste reminiscenze, che tutte le società agricole, ove ancor oggi si lega e si minaccia di morte l'estraneo còlto nel campo mietuto, abbiano praticato sacrifici umani in occasione del raccolto. E' probabile che tutte queste cerimonie agricole si siano diffuse, partendo da qualche centro (Egitto, Siria, Mesopotamia), in buona parte del mondo, e che molti popoli abbiano assimilato soltanto frammenti della scena originale. Già nell'antichità classica il ‘sacrificio umano’ in occasione della mietitura era soltanto vago ricordo di tempi antichi, superati da un pezzo. Così una leggenda greca ricorda Lityerses, un bastardo del re frigio Mida, noto per il suo favoloso appetito e per la passione con cui godeva di mietere il suo grano. Ogni estraneo che passava accanto al suo campo era convitato da Lityerses e poi condotto al campo e costretto a mietere in gara con lui. Se rimaneva sconfitto, Lityerses lo legava in un covone, gli troncava la testa col falcetto e gettava il cadavere nel campo, finché Eracle sfidò Lityerses, lo vinse, gli tagliò la testa col falcetto e gettò il corpo nel fiume Meandro; questo lascia capire che Lityerses faceva lo stesso con le sue vittime. E' probabile che molti secoli prima i Frigi avessero realmente compiuto sacrifici umani al raccolto; secondo certi indizi, questo sacrificio era egualmente frequente in altre regioni dell'Oriente mediterraneo.
Nota di Lunaria: Per quanto riguarda i sacrifici umani al "campo di grano" la vicenda horror più famosa è quella narrata nella saga horror di "Grano Rosso Sangue" (tratto da un racconto di Stephen King) e "La Festa del Raccolto" di Thomas Tryon
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