La Quercia, essendo un albero molto diffuso, ha dato origine a leggende presso molti popoli europei, dai Celti ai Romani, dagli Anglosassoni, ai Normanni, continuando ad alimentarle attraverso l'intero Medioevo fino ai nostri giorni. Era uno dei "sette alberi nobili", della tradizione irlandese, e la sua distruzione si ritorceva su colui il quale se ne era reso colpevole con malattie, morìe di bestiame, rovesci economici.
Quando san Columcille edificò una chiesa in Irlanda, dopo aver incendiato una Quercia per far posto alla costruzione, incorse nelle ire del re, il quale considerò addirittura l'abbattimento della pianta alla stregua di un omicidio. Il sant'uomo potè proseguire il lavore, ma dovette impegnarsi a non toccare più alcuna Quercia.
I primi norvegesi invasori delle terre britanniche introdussero la credenza secondo cui la Quercia era l'albero del fulmine e perciò sacra a Thor, aggiungendo che essa offriva protezione ai viandanti durante i temporali. Può sembrare un controsenso, ma la doppia credenza è spiegabile per il fatto che le querce sono frequentemente colpite dal "fuoco celeste" e per il detto secondo cui "il fulmine non cade mai nello stesso posto".
Di qui l'usanza ancor viva tra certi contadini, di tagliare un pezzo di tronco colpito appunto dal fulmine e di appenderlo sulla porta di casa proprio come "parafulmine magico".
La Quercia venne anche considerata un'eccellente difesa contro le streghe, tanto che persino san Bedra, il medico inglese dottore della Chiesa, famoso erudito, narrava che sant'Agostino da Canterbury era uso pregare sotto le fronde di questo albero da quando re Etelberto (un sovrano del Kent, che favorì l'introduzione del cristianesimo nel suo regno) glielo aveva raccomandato per evitare l'azione di sortilegi.
Il culto della Quercia venne alfine proibito dalla chiesa cristiana. Fu sempre tollerato, tuttavia, l'uso di danzare tre volte attorno all'albero dopo un matrimonio religioso, per invocare la buona sorte sugli sposi. Dopo questa cerimonia si usava offrire una bevanda a base di ghiande tritate e bollite.
Contro la tonsillite si usa portare al collo una coroncina di 9 o 13 ghiande che simboleggiano le tonsille infiammate. Staccatene una ogni giorno e buttatela lontano da voi: gettata l'ultima, dovreste essere guariti. Se non accade, ricominciate con la cura, ma bruciate le ghiande. Se è un maleficio, arrostite le ghiande, scoprirete la persona che ha lanciato l'incantesimo, perchè sarà colpita da una forte raucedine.
Vedi anche: http://tarocchiemagialunaria.blogspot.it/2015/04/la-quercia-oracolare.html
In greco "Phoenix" non significa soltanto "fenicio" ma anche porpora e indica nello stesso tempo la palma da datteri e la fenice. Questo uccello "dispone della mirra e dell'incenso, se ne serve per costruirsi il nido, arriva persino a trasportarli nel becco prima di consumarsi sul rogo che ha alzato ammucchiando le sostanza profumate di ogni specie" e sul quale si brucia prima di rinascere da se stesso per un nuovo ciclo di 1461 anni, il Grande Anno, la rinascita, rigenerazione ciclica del cosmo. Rappresentato dall'airone purpureo, la fenice egiziana o uccello Bennou, era associato a Eliopoli, città solare per eccellenza.
In Mesopotamia, cinque o seimila anni fa, i sumeri coltivavano la palma da datteri (phoenix dactilifera); la coltura della palma si diffuse nel bacino mediterraneo, nel Nordafrica; attualmente è anche piantata in Iraq.
In Medio Oriente il dattero è un alimento dai molteplici impieghi: se ne ricava un succo dolce, il "miele di datteri", e farne una specie di pane. Estremamente nutriente, il dattero ha una valore energetico più alto di qualsiasi frutto.
Per gli antichi, la palma da datteri rappresentava un modello di fecondità: un palmeto ben curato arriva alla piena produzione 12-15 anni dopo l'impianto e dà frutto per 60-80 anni, con una media di 20-50 chili di raccolto e addirittura 200 chili.
Il dattero, nei tempi antichi, era venerato con canti sacri: Strabone cita un inno persiano, Plutarco un inno babilonese.
Ai tempi di Plinio, a Delo ancora veniva mostrata la palma che era servita da riparo alla nascita di Apollo; gli orfici consideravano la specie immortale, indenne da invecchiamento e le tributavano grande venerazione. Di questa specie esistono piante maschili e femminili, e siccome la pianta maschio irta, drizza tutto il fogliame per raggiungere le piante femmine e le loro infiorescenze, è considerata un emblema fallico (si vedeva in lei un enorme fallo eretto e peloso) e antropomorfo: il termine "palma" viene da "palmo della mano"; i datteri sarebbero "dita". La si credeva nata dalla congiunzione del fuoco celeste e delle acque sotterranee.
Nella mitologia greco-romana esisteva una Dea Palma di nome Leto o Latona. Si trattava di Lat, arcaica divinità orientale della fertilità, della palma e dell'ulivo, cosa che spiega come Leto, figlia di Titani come Dione, e come lei sedotta, abbia messo al mondo Artemide (Dea Luna) e Apollo (Dio Sole) nell'isola di Ortigia, tra l'ulivo e la palma, entrambi di origine asiatica, "circondando la palma con il braccio".
(Notizie tratte da "Mitologia degli alberi" di Jacques Brosse)