Veronica chamaedrys e Veronica persica ("Occhi della Madonna")

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Il nome di questa pianta deriva da due parole greche: "Chamaedrys", da "Chamai", "a terra" o "piccolo" e "drys", "quercia", forse a causa della forma delle foglie.

I fiori e i frutti di questa piantina hanno dato adito a molte superstizioni e sono all'origine dei nomi locali, anche se il più diffuso è quello di "Occhi della Madonna".

I piccoli fiori azzurri occhieggiano da fogliame e compaiono anche verso febbraio.

Si pensava che se i fiori di Veronica chamaedrys fossero stati distrutti, gli uccelli avrebbero beccato gli occhi del vandalo o quelli di sua madre.

Esistono diverse varianti di Veronica, come Veronica persica e Veronica arvensis.

Veronica persica è facilmente distinguibile da Veronica chamaedrys per il suo fiore singolo e peduncolato all'ascella delle foglie e per il petalo inferiore molto chiaro.

è comunissima nei terreni e ai margini dei marciapiedi.



Alloro e Teofanie Vegetali

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L'alloro, albero di Apollo, per questo motivo era profetico, in particolare a Delfi, dove la Pizia ne masticava le foglie per entrare in trance.

I consultatori che avevano ottenuto dall'oracolo una risposta favorevole se ne tornavano a casa con una corona d'allora in capo. Anche gli indovini greci la portavano. Il dio coronato d'allora era a sua volta detto "daphnéphoros", portatore di alloro. La Dafneforia era una festa celebrata a Tebe ogni 9 anni, in cui si portava un ramo d'olivo cinto d'alloro in onore di Apollo; la processione era condotta dal più bel giovinetto della città, che chiamato Daphnéphoros, incarnava il dio e gli offriva nel suo tempio una corona d'alloro.

Attributo di Apollo, dio luminoso, l'alloro simboleggiava insomma il trionfo della luce sulle tenebre, della purezza sulla sporcizia, dava accesso al mondo invisibile dello spirito e per questo era oracolare, perciò in greco era detto "Mantikon phyton", pianta profetica: si credeva fosse sufficiente mettere una foglia d'alloro sotto il cuscino per vedere in sogno avvenimenti che si sarebbero immancabilmente verificati. Propiziatorio, l'alloro era l'emblema dei messaggeri di buone notizie; protettore, proteggeva dal fulmine.

Altro approfondimento tratto da

L'alloro (Laurus nobilis) è una pianta nota e utilizzata fin dall'antichità. In Grecia, prima di vaticinare, gli indovini masticavano o bruciavano foglie d'alloro per accentuare le qualità divinatorie. Tenere alloro in casa o addosso significava essere sotto la protezione di Apollo, per la quale la pianta era sacra. La mitologia greca narra infatti che la ninfa Dafne, figlia del dio-fiume Peneo e votata ad Artemide, per sfuggire ad Apollo che la concupiva chiese a Zeus di trasformarla in pianta: egli la mutò nell'alloro. Addolorato, Apollo fece dell'alloro il suo albero sacro. La tradizione dice che l'alloro non è colpito dai fulmine e preserva dai medesimi le case dove è piantato, per il rispetto che Zeus portava alla ninfa. Il termine nobilis, che accompagna il nome del lauro, sta a indicare la grande considerazione nella quale esso era tenuto. Empedocle d'Agrigento la definì suprema tra tutte le piante.


Uno scritto di Mircea Eliade, preso da "Trattato di Storia delle Religioni"

La Teofania di Durga

Un esempio chiarissimo di teofania vegetale si osserva nel culto della Dea indiana (pre-ariana) Durga. I testi che citiamo sono tardi, ma il loro carattere popolare indica un'antichità indiscutibile. Nella "Devi-Mahatmya" (92, 43-44) la Dea proclama: ‘In seguito, o Dèi, nutrirò (letteralmente sosterrò) l'universo intero con questi vegetali che mantengono la vita e che spuntano dal mio stesso corpo durante il periodo delle piogge. Diventerò allora gloriosa sulla terra come "Sakamhari" (‘portatrice di erbe’, o ‘che nutre le erbe’) e, in questo stesso periodo, sventrerò la grande "asura" chiamata Durgama (personificazione della siccità)’.

Nel rito "Navapatrika" (‘le nove foglie’), Durga è chiamata ‘Colei che abita nelle nove foglie’. Le conferme indiane si potrebbero moltiplicare. Torneremo in questo punto, studiando le altre valenze della sacralità dell'albero.

Grandi Dee e vegetazione

Uno dei complessi più frequenti e persistenti è questo: Grande Dea-vegetazione-animali araldici-servi. L'economia di questo libro ci obbliga a passare in rassegna soltanto una parte dei molti esempi di cui disporremmo. La presenza della Dea accanto a un simbolo vegetale conferma il significato dell'albero nell'iconografia e nella mitologia arcaiche: FONTE INESAURIBILE DELLA FERTILITA' COSMICA.

Nella civiltà pre-ariana della valle dell'Indo, che gli scavi di Harrappa e di Mohenjo-Daro han posto in piena luce, la consubstanzialità della Grande Dea e della vegetazione è rappresentata sia per associazione: Dee nude  -  di tipo Yaksim  - accanto a un "Ficus religiosa", sia per mezzo di una pianta uscente dai genitali della Dea.

Le effigi rappresentanti il "Ficus religiosa" sono piuttosto numerose, e così quelle che rappresentano la Grande Dea nuda, tipo iconografico comune alla civiltà calcolitica afrasiatica intera, fino all'Egitto. L'albero sacro è circondato da un recinto, e talvolta una Dea nuda vi sta fra due rami di "Ficus religiosa" che crescono in mezzo a un circolo. Lo spazio iconografico indica con precisione il valore sacro del luogo santo e del ‘centro’.

In tutta l'Africa e in India, gli alberi che stillano lattice sono simboli della maternità divina, e perciò venerati dalle donne e insieme ricercati dagli spiriti dei morti che desiderano tornare in vita. Il motivo Dea-albero, completato o non dalla presenza di animali araldici, è stato conservato nell'iconografia indiana, donde, non senza contaminazioni di idee cosmogoniche acquatiche, è stato trasmesso all'arte popolare, e vi si osserva ancora oggi. I legami fra i due simboli-  le Acque e le Piante  -  sono del resto facilmente comprensibili. Le acque sono portatrici di germi, di tutti i germi. La pianta  -  rizoma, arbusto, fiore di loto  -  esprime la MANIFESTAZIONE del Cosmo, la comparsa delle FORME. E' notevole che le immagini cosmiche siano rappresentate in India emergenti da un fiore di loto.

Un'altra Dea legata al loto è He Xiangu, la Donna Cinese Immortale tra gli Otto Immortali, che veglia sui focolari; porta con sé un gambo di loto curvilineo terminante con un fiore o una capsula di semi. Questo stelo magico guarisce qualsiasi malessere.

Il rizoma fiorito significa l'attualizzazione della creazione, ‘il fatto di collocarsi saldamente al disopra delle acque’.

La coesistenza dei motivi floreali-acquatici e dei motivi vegetali femminili si spiega con l'idea centrale della creazione inesauribile, simboleggiata dall'Albero cosmico e identificata con la Grande Dea.

Questa associazione è solidamente stabilita, tanto nella cosmogonia vedica e puranica (ove la divinità si MANIFESTA, insieme all'Universo, emergente da un loto che fluttua sulle acque),

quanto nella concezione indo-iranica della miracolosa pianta "soma". Quanto a quest'ultima, ricordiamo che il "soma" nel "Rgveda" è spessissimo rappresentato sotto forma di sorgente o ruscello, ma anche come una PIANTA paradisiaca, collocata dai testi, e specialmente da quelli vedici tardi e postvedici, in un vaso (simbolo acquatico). Questo polimorfismo si giustifica considerando tutto quel che implica il "soma": garantisce la vita, la fertilità, la rigenerazione; il che corrisponde appunto a quel che implica anche il simbolismo delle Acque, e che, nel simbolismo delle piante, viene esplicitamente formulato. Il ratto del "soma" nel "Mahabharata", 1, mette in valore la sua doppia struttura, insieme acquatica e vegetale; quantunque lo si presenti come una bevanda miracolosa, tuttavia si afferma che Garuda ‘lo ‘strappa’ ("samutpatya"), come se fosse un'erba (33, 10). Nel simbolismo delle "Upanishad" si incontra la stessa associazione: Acqua-Albero; ‘il fiume senza età’ ("vijara nadi": quella che rigenera) è a fianco dell'‘albero-sostegno’. Le due sorgenti mistiche si trovano in Cielo, nello stesso modo che in cielo si trova, se non la loro sostanza concreta, almeno il prototipo di tutte le bevande rigeneratrici e dispensatrici di immortalità: "hom" bianco, "soma", il miele divino dei Finnici, eccetera. (Mielikki è la Dea finnica della caccia. Oltre a preservare l'equilibrio vita-morte (caccia-procreazione degli animali) possiede un cestino con del miele miracoloso con il quale nutre la foresta)

Il miele poi era associato anche alle Dee Bisu Mate e Melissa, personificazioni delle api e del miele.

Il simbolismo del miele è stato copiato anche nella bibbia: "Terra dove scorre latte e miele", è chiamata così la terra che il dio ebraico promette al suo popolo in esilio.

La stessa associazione Acqua-Albero si trova nella tradizione

ebraica e cristiana. Ezechiele (capitolo 47) descrive la sorgente meravigliosa che sgorgava sotto il tempio, e gli alberi da frutto lungo le sue sponde (il valore simbolico-metafisico dell'Acqua che ha la sua sorgente sotto il tempio, come quello degli alberi, non lascia ombra di dubbio, poiché il tempio sta al ‘centro del mondo’). L'"Apocalisse" (22, 1-2) riprende, precisandola, l'espressione cosmologica e soteriologica del complesso Acqua-Albero: ‘l'angelo mi mostrò un fiume d'acqua viva, splendido come cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla sua piazza e di qua e di là dal fiume c'è l'albero della vita, che fa dodici frutti, dando ogni mese il suo frutto; e le foglie dell'albero servono per la guarigione delle genti’. Il prototipo biblico si trova naturalmente nell'Eden: ‘l'albero della vita nel mezzo del Paradiso, insieme all'albero della scienza del bene e del male. E dal luogo di delizia usciva a irrigare il Paradiso un fiume, che di poi si divide in quattro rami’. Il tempio, luogo sacro per eccellenza, è simile al prototipo celeste, il Paradiso.

Grande Dea - Albero della Vita.

L'associazione Grande Dea-Albero della Vita era nota anche in Egitto. Un bassorilievo rappresenta Hathor entro un albero celeste (indubbiamente l'albero dell'immortalità) che dà da bere e da mangiare all'anima del morto, cioè gli assicura la continuità della vita, la sopravvivenza.

Questa rappresentazione deve esser collegata alla serie iconografica rappresentante le mani della Dea cariche di doni, o il suo busto che, uscendo da un albero, abbevera l'anima del morto.

Serie parallela è quella della Dea del destino, seduta sui rami bassi di un albero enorme, simboleggiante il cielo; sui rami secondari di questi rami sono scritti i nomi dei Faraoni e il loro destino, Lo stesso motivo si trova nelle credenze popolari altaiche (dei Jakuti, eccetera) ai piedi dell'Albero della Vita, che ha sette rami, si trova ‘La Dea delle Età’.

Stessa associazione mitica e cultuale in Mesopotamia. Gilgamesh incontra in un giardino un albero miracoloso e, accanto a esso, la divinità Siduri (cioè la ‘fanciulla’) qualificata "sabitu", vale a dire ‘la donna del vino’. In realtà, secondo Autran, Gilgamesh l'ha incontrata accanto a una vite; la vite veniva identificata dai paleo-orientali con ‘l'erba della vita’, e il segno sumerico per la ‘vita’ era in origine un pampino.

Questa pianta meravigliosa era consacrata alla Grande Dea. La Dea Madre era chiamata in principio ‘Madre vite’ o ‘Dea vite’

Comunque, fin dall'antichità, quei frutti molteplici che racchiudevano in sé una grande quantità di acini e frutti (tipo il melograno), erano sempre associati all'utero, alla Dea. è più probabile quindi che, come il melograno fosse associato all'elemento femminile per la sua rassomiglianza con l'utero (il colore rosso, l'umidità, la forma, i semi che sono tanti "figli" come in un parto plurigemellare) anche l'uva fosse, prima del mito cristiano e di quello greco, associato alla Dea. Del resto il melograno è legato a Persefone, a sua volta archetipo della donna vergine (la sua vita da fanciulla, prima di essere rapita dal Signore dell'oltretomba), dell'arrivo delle mestruazioni e la perdita del primo sangue (il rapimento) e la perdita della verginità, il primo coito (è "obbligata" ad essere moglie di Ade).

Il suo ritorno in superficie, dopo l'intercessione della Madre Demetra può rappresentare il rinnovamento e la rinascita della fanciulla, che ogni mese vive un "rapimento mestruale" che la fa stare "nell'ade" per qualche giorno (il ciclo e il sanguinamento con i suoi dolori e il periodo di "isolamento", di voglia di stare da sole) per poi essere liberata (la fine del ciclo)

Albright ha dimostrato che, nelle recensioni arcaiche della leggenda di Gilgamesh, Siduri aveva una parte molto importante. Gilgamesh domandò direttamente a lei l'immortalità. Jensen l'ha identificata con la ninfa Kalypso dell'"Odissea" (5, 68 e seguenti). Come Kalypso, Siduri aveva aspetto di giovinetta, portava il velo, era carica di grappoli e abitava in un luogo dal quale partivano le quattro sorgenti; la sua isola si trovava nell'‘ombelico del mare’ ("omphalos thalasses"), e la ninfa poteva accordare l'immortalità agli eroi, l'ambrosia celeste con cui tentò anche Ulisse.

Kalypso era una delle innumerevoli teofanie della Grande Dea, che si rivelava al ‘centro del mondo’, accanto all'"omphalos", all'Albero della Vita e alle quattro fonti. Ora la vite era l'espressione vegetale dell'immortalità, appunto come il vino è restato, nelle tradizioni arcaiche, il simbolo della gioventù e della vita eterna. La "Mishna" afferma che l'albero della scienza del bene e del male era una vite. Il libro di Enoch (24, 2) localizza questa vite-albero della scienza del bene e del male in mezzo a sette montagne, come fa, del resto, anche l'epopea di Gilgamesh (86). La Dea-serpente Hannat poteva mangiare i frutti dell'albero, e questo era permesso anche alle Dee Siduri e Kalypso. L'uva e il vino hanno continuato a simboleggiare la sapienza fino a epoca tarda. Ma la concezione primitiva della vite-Albero cosmico-Albero della Conoscenza e della Redenzione, si è conservata nel mandeismo con sorprendente coerenza. Il vino ("gufna") è per questa gnosi l'incorporazione della luce, della sapienza e della purezza. L'archetipo del vino ("qadmaia") sta nel mondo superiore, celeste. La vite archetipo è fatta di acqua all'interno, le sue foglie sono formate da ‘spiriti della luce’ e i suoi nodi sono granelli di luce. Da lei nascono i ruscelli di acqua santa destinati ad abbeverare gli uomini; il Dio della luce e della sapienza, il Redentore ("Manda d'Haije) viene anche lui identificato con la Vite di Vita ("gufna d'haije"), la vite è considerata albero cosmico in quanto avvolge i cieli, e le stelle sono acini di uva.

Nel territorio egeo ed elleno, il complesso Dea-AlberoMontagna-Animali araldici è parimenti frequente. Ricordiamo il grande anello di Micene, che rappresenta una scena cultuale ove la Dea, con una mano sul petto nudo, è seduta sotto l'Albero della Vita, accanto a una serie di emblemi cosmologici: il "labrys" (*), il sole, la luna, le acque (le quattro sorgenti). La scena somiglia molto al rilievo semitico riprodotto da Holmberg, che rappresenta la Dea seduta in trono accanto all'Albero sacro, con il divino infante in braccio. Una moneta di Myra (Licia) mostra la teofania della Dea in mezzo all'albero. Dal repertorio egeo segnaliamo ancora l'anello d'oro di Mochlos, che rappresenta la Dea in barca, con un altare e un albero, e la celebre scena della danza davanti all'albero sacro.

(*) L’ascia bipenne (labrys): la sua forma richiama la Luna crescente e calante. Si ritrova spesso nei templi megalitici e fu associata al labirinto; forse ha anche la stessa origine etimologica di labirinto, corrisponde alla farfalla ed è simbolo di rigenerazione.

Tutte queste associazioni mitiche e iconografiche non sono effetto del caso, né sono prive di valore religioso e metafisico. Che cosa significano questi complessi: Dea-Albero, Dea-Vite, con il loro contorno di emblemi cosmologici e animali araldici? Significano che quel luogo è un ‘centro del mondo’, ove si trova la fonte della Vita, della gioventù e dell'immortalità. Gli alberi rappresentano l'Universo in rigenerazione incessante; ma al centro dell'Universo si trova sempre un albero: quello della Vita eterna o della Scienza. La Grande Dea è la personificazione della sorgente inesauribile della creazione, di quest'ultimo fondamento della realtà; vale a dire l'espressione mitica dell'intuizione primordiale: che la sacralità, la vita e l'immortalità si trovano in ‘un centro’.

P.s gli indù hanno divinizzato il loro basilico (il tulsi). Tulsi Devi è la Dea-piantina del Tulsi



Le Composite