Rose: splendide illustrazioni!

 










Curiosità sull'Erica

Erica: il nome evoca, immagini di terre basse, ovattate dalla nebbia, di colline ventose sotto cieli variati da nuvole trascorrenti.

è una suggestione letteraria: il ricordo di tanti racconti di galoppate in brughiera, l'eco del grido di Heathcliffe che chiama, tra le eriche, la perduta Katy in "Cime Tempestose".


Tutto è sottilmente triste e sa di magia, di rimembranza. Nessuno ha saputo dirlo meglio di Guillaume Apollinaire: "Un rametto d'erica, profumo del tempo"

In realtà, le eriche sono multiformi e diffuse tanto in Europa quanto Asia e Africa.

La Calluna vulgaris, nome celtico "brwg", che sopravvive nei termini "brugo", "brugola", "brugaia", ad indicare certe terre basse e incolte; l'Erica arborea, la specie più a rischio, con foglie lineari e persistenti, con fiorellini campanulati, bianco-rosei; questo tipo di erica robusta si alza da terra e può raggiungere i tre-cinque metri.

Sacra a Marte, con il suo rosso, si usava per fare suppellettili per il tempio del Dio.

Era usata come talismano per i nati sotto il segno dell'Ariete.

Dice un antico erbario: "l'Erica ha molte virtù e salva dagli eccessi ma non salva dal veleno."






La Leggenda della Stella Alpina

Info tratte da

I montanari di Cervino raccontano questa leggenda riguardante la Stella Alpina.

Una giovane della valle aveva sposato un montanaro che, come tutti quelli del paese, conosceva e amava con tutta l'anima la montagna. Saliva spesso verso i ghiacciai, per cogliere profumatissimi genepì, la pianta fortemente aromatica che serve per fabbricare il famoso liquore, e vi andava anche per dare la caccia alle marmotte. I due sposi vivevano modestamente dei loro guadagni e poiché si volevano bene, erano felici come due principi.

Un giorno, il giovane sposo partì, come aveva fatto tante volte, ma non fece più ritorno.

Invano la moglie lo attese per tre giorni: nessuno lo aveva visto sulle montagne e nessuno sapeva dare notizie.

Allora la povera sposa prese sulle spalle il sacco anche lei e salì verso il ghiacciaio per vedere di rintracciarlo. Scorse tutte le cime, esaminò le valli, cercò in tutti i crepacci e finalmente lo rinvenne. Ma lo trovò morto, tra due lastroni di ghiaccio.

Affranta dal dolore, la povera sposa sedette sulla sporgenza della roccia e non pensò più a ritornare verso casa.

Si mise a piangere e a lamentarsi tutta notte. All'alba, quando si imbiancò il cielo, i suoi capelli e le sue ciglia erano coperte di un velo di brina, come una peluria d'argento. "Signore", disse la sposa rivolgendo gli occhi al cielo, "io non ho il coraggio di staccarmi da mio marito, lasciatemi qui sulla balza di questa rupe perché io possa vederlo sempre nel suo letto eterno di ghiaccio."

Iddio ebbe pietà della sposa innamorata e la convertì nel fiore più bello delle Alpi: la Stella Alpina.



Profumi, erbe e magia

Info tratte da

Tra le magie del mondo vegetale c'è quella dei profumi, una magia ormai quasi dimenticata, superata dalle innumerevoli fragranze artificiali prodotte dalla chimica. All'arte dei profumi le antiche civiltà si dedicarono con un fervore quasi mistico; basta osservare le tombe egizie, che tra gli innumerevoli tesori ammassati attorno al sarcofago, fanno capolino le ampolle con i profumi.

"Per fumus", "attraverso il fumo": è proprio dalle esalazioni di sostanze odorifere arse sugli antichi bracieri, che deriva la parola profumo.

Un intero libro dei Veda, gli antichi testi sanscriti, è dedicato ai sistemi atti ad accrescere il potere seduttivo: "Impiega cosmetici per il viso e bdellio come profumo, balsami che ti renderanno più femminile ancora di quanto tu sia, le piante di marya, di sandalo e di cartamo. Che tutto ciò possa darti uno sposo ben stretto tra le tue mani! E poi, per eliminare le rivali, cogli erbe di saniya, la più efficace di tutte, e le altre qui sotto elencate, da tenere contro il tuo corpo: ciò farà in modo che le rivali siano sgominate e che lo sposo venga a te come il vitello va verso la madre."

Il vate indiano Amaru nota nelle sue "Centurie poetiche" che "i cosmetici sono per una donna come i condimenti per i cibi, come i profumi per i fiori più belli, come i colori vivaci per i sari."

E il Ramayana elenca più di 200 sostanze odorose.

Tra i più antichi mezzi volti a sottolineare la bellezza abbiamo il kajal: in origine era ottenuto dalla fuliggine del legno di sandalo mescolata con olio di sesamo o di ricino. E troviamo l'acqua di rose, già ricordata nei Veda. Adoperata prima nelle cerimonie religiose, poi dalle donne, per tonificare la pelle del viso.

La civiltà indù è stata forse l'unica tra le antiche civiltà a ricorrere ai vegetali per cantare i suoi inni d'amore. Il dio Kama, l'Eros indù, scocca le sue frecce intingendone la punto nell'olio di fiori di mango mentre Kalidasa, il celebre poeta, così descrive una scena di toeletta: "Il polline dei fiori di loghra sfuma di pallore la bellezza delle donne che tengono in mano i fiori di loto e portano gelsomini freschi a mazzetti nei loro capelli neri, il fiore di cadamka sulla scriminatura della fronte e gli splendenti fiori di cirica come orecchini. Nella notte la loro pelle si illumina dei riflessi solari del croco, e i loro piedi, rosati con l'hennè, incantano la terra. La strada delle amanti, di queste innamorate della loro bellezza e di quella della vita, è rivelata nell'oscurità dai fiori di mandaras o di nelumbos profumati, che l'ansia dell'incedere ha fatto cadere dai loro capelli."

Numerose sostanze odorose e cosmetiche passarono dall'India all'Egitto, un altro paese che ci ha tramandato, con affreschi, papiri, statue, il suo culto per l'estetica, che doveva vincere l'orrore per la morte, un orrore che si cercò di combattere con l'imbalsamazione.

Allo stesso modo servivano i profumi e gli unguenti, alcuni dei quali erano adoperati particolarmente nel corso di riti propiziatori e di ringraziamento alle divinità.

Per i prodotti cosmetici si comincia ad attingere al regno minerale e animale: ricorrendo al solfuro d'antimonio, si ricava il kohl, per sottolineare l'occhio, dal grasso di cammello si ottengono creme per la pelle.

Incenso, mirra, olio di legno di cedro, zafferano, cannella, cinnamono, olio di cocco costituiscono spesso le materie prime per preparare creme.

Le grandi regine Nefertite e Cleopatra si occuparono personalmente della bellezza femminile, inventando e sperimentando varie ricette. Cleopatra faceva ricorso ai bagni di latte di mandorla e si vantava inoltre di usare tutti i prodotti cosmetici elencati nel cosiddetto "papiro di Ebers", per mantenere e sottolineare la propria avvenenza.

I cosmetici non erano riservati all'élite regale o sacerdotale, ma facevano talmente parte della vita quotidiana, da riuscire indispensabili sia alle classi altolocate che a quelle meno abbienti. Allorché, sotto Ramsete III, avvenne un'insurrezione per la mancata distribuzione di cibo, e i lavoratori pretesero come dovuti non solo gli alimenti ma anche i cosmetici per l'unzione del corpo e la decorazione.

Ai Babilonesi, maestri dell'astrologia, dobbiamo gli studi delle relazioni intercorrenti tra i profumi e i segni zodiacali. 

"Vieni nella mia dimora", dice la Dea Ishtar a Gilgamesh, "vieni nell'aroma del cedro. Per te mi sono fatta bella con la crema di mandorle e il profumo di sin. Sono come il miele."

Anche la regina Semiramide, bellissima, era tanto esperta nell'uso dei cosmetici da essere paragonata ad una Dea.

Fu con l'arrivo della caccia alle streghe che i profumi vennero banditi, accostati alle streghe e al diavolo e anche ai veleni, perché ricavati dalle erbe.


FITOLOGIA MAGICA: PIANTE E SEGNI ZODIACALI

Calicantus: appartiene al Sagittario, perché fiorisce in pieno inverno, con i suoi fiori gialli. 

Cardo o Acanzio: con i suoi fiori rossi, è per quelli dell'Ariete e del Cancro.

Caprifoglio: per gli Arieti

Ciclamino: prerogativa dei Leoni

Erica: appartiene a Marte, perché è selvatica e spontanea. Adatta agli Arieti.

Gardenia: sempre verde, sempre giovane, con fiori bianchi, candida, 

per i nati della Vergine. 

Garofano: adatto agli Scorpioni e ai Leoni.

Gelsomini: bianco, è per i Pesci. Col suo profumo mistico (proviene dalla Persia) evoca il misterioso mondo dell'Oriente.

Genziana: adatta ai nati sotto il Leone. è una pianta tonica e depurativa.

Geranio: rosso, amaro, forte, è il fiore dell'Ariete.

Giacinto: appartiene alla Vergine perché ha un profumo insinuante e sensuale che libera dalle inibizioni e stimola la fantasia (i tipi Vergine sono razionali e sacrificano la fantasia in nome della ragione). Il fiore del giacinto ha cinque petali e 5 è il numero fortunato della Vergine e di Mercurio.

Giglio: simbolo dell'intelligenza e della giovinezza, appartiene ai Gemelli anche se sono faturi e incostanti in amore.

Lavanda: il fiore degli Arieti perché il profumo dolce e soave placa l'aggressività.

Lillà: il colore viola dei suoi fiorellini piace ai nati sotto il segno del Cancro.

Mimosa: è il fiore dell'Età dell'Acquario, un fiore che reagisce se la si tocca. Scelta nel 1918 da Clara Zetkin come simbolo della liberazione della donna, corrisponde alla caratteristica dell'Acquario, che tende all'indipendenza.

Miosotide, il non-ti-scordar-di-me: timido, umide, è il fiore del segno della Vergine.

Mughetto: è il fiore degli invernali Acquari.

Muschio: penetrante, selvatico, raffinato, sostiene l'aggressività, libera dall'incertezza. Appartiene alla Bilancia.

Narciso: bianco e dolce, giova ai cupi Capricorni perché infonde un senso di pace e di calore e dà allegria.

Ninfea: acquatica, sognante, misteriosa, si addice ai segni d'acqua come Peschi e Cancro perché li riconduce al loro elemento.

Orchidea: è il fiore di Venere, pianeta dell'amore e della bellezza. Porta fortuna ai Toro e ai Bilancia.

Ortensia: misteriosa, con i suoi mille fiorellini racchiusi in un globo, è di Nettuno, protettore dei Pesci. Potenzia la fantasia e l'intuizione.

Rosa: è per i Toro e i Bilancia, essendo il fiore di Venere. è il fiore dell'amore.

Rododendro: appartiene a Marte e agli Ariete e Scorpione: il suo colore cupo esprime la violenta passionalità del segno.

Salvia: piace ai nati sotto la Vergine perché dà un senso di quiete e ordine; inoltre è sinonimo di salvezza e salute.

Tuberosa: porta fortuna agli Scorpioni, perché è sensuale come loro ma al contempo mitiga il carattere fanatico e duro.

Verbena: sin dai tempi della Grecia omerica era considerata un fiore magico, per mitigare le pene d'amore. è propizio ai Toro e Bilancia.

Violetta: la tradizione la consacra come fiore dei Sagittari che amano l'aria aperta e adorano la primavera. 

Gli alberi in genere, e soprattutto la quercia, appartengono al Sole.

Gli arbusti spinosi sono di Marte.

Le felci sempreverdi sono di Giove.

Le erbe e i fiori sono di Venere, perché riflettono la grazia, bellezza, l'amore espressi dalla Dea.

I muschi che crescono nelle prossimità delle caverne e delle grotte, cioè gli antichi accessi al mondo degli inferi, sono di Mercurio, perché si pensava che il Messaggero degli Dei fosse anche la guida delle anime dei morti.

Le alghe appartengono alla Luna, che governa le acque e la vegetazione palustre.

I fungoidi, che rappresentano il primon gradino dell'evoluzione e il tentativo di ascesa verso forme superiori sono di Saturni. 



La Foresta del Borneo

Info tratte da


"Nelle Foreste di Borneo" di Odoardo Beccari

La selva non avrebbe potuto essere più selvaggia. è possibile che qualcuno, Malese o Daiacco, vi fosse penetrato prima di noi in cerca di guttaperca o di rotang, ma nessun indizio rivelava allora che orma umana ne avesse mai calcato il suolo. Di rado anche i Malesi si avventurano in una foresta primitiva per più di un miglio o due dalla sponda dei fiumi. Sul principio il terreno era piuttosto asciutto; ma non era impraticabile perché lo spazio fra i tronchi più grossi era tutto occupato da piante giovani della specie d'alto fusto, e da un immenso e svariatissimo numero di piante del sottobosco. Sul terreno giacevano tronchi enormi che in pochi anni, forse mesi, restituiranno al suolo quello che durante secoli lentamente gli avevano sottratto.

Con tale foresta il cammino spedito è impossibile; bisogna ad ogni istante evitare gli ostacoli e farsi strada con i "parang". Io pure avevo subito sostituito al mio coltello da caccia questo strumento malese, molto più efficace del mio e più facile a maneggiarsi. Abbiamo l'avvertenza di fare ogni tanto qualche incisione sui tronchi degli arbusti e di piegarne la punta nella direzione nella quale si cammina. è questa una delle precauzioni indispensabili per non smarrire la strada nella foresta. Non esistendo oggetti variati, riconoscibili da lontano, e spesso accade, dopo aver lungamente errato, di trovarsi al punto di partenza.

Nella foresta, come nell'oceano, si avanza e sempre l'orizzonte si chiude dietro di noi; con la differenza che nella foresta l'orizzonte si trova a pochi passi all'ingiro. La foresta inspira più timore dell'oceano e del deserto. Qui vi è il sole che guida di giorno; nella notte ci sono le stelle. Nella foresta vergine di Borneo il cielo è sempre invisibile; se il sole a momenti si intravvede attraverso il fogliame, a poco serve per orientarsi, a causa del gran cerchio che percorre nel cielo. Nel deserto e nella pianura sterminata è difficile che manchi qualche oggetto, una collina, un sasso, che indichi un progresso in avanti, verso la mèta che si vuol raggiungere; nella foresta invece più si avanza e più si va verso l'ignoto. Si ha paura di progredire, perché più si va innanzi, più ci sembra di non poterne uscire più.

è possibile che molti animali provino, come l'uomo, il timore di smarrirsi nella foresta. E forse questo sentimento restringe assai la distribuzione geografica di molti animali dei paesi forestali, in confronto di quella estesissima degli abitatori delle steppe e dei deserti.

A momenti, in certe ore della giornata, regna nella foresta una calma quasi paurosa. La natura sembra come assopita. Appena, prestando molta attenzione, giunge all'orecchio un suono, un grido, un sibilo, un rumore non mai prima avvertito, che tradisce la presenza di un uccello, un guizzo di uno scoiattolo, un volo di un insetto.

Ma la Foresta di Borneo è così multiforme nelle varie ore del giorno e a seconda della stagione e del tempo, che nessuna descrizione riuscirà mai a farne acquistare un'adeguata idea e a chi non vi abbia vissuto. Infiniti e variati sono gli aspetti sotto i quali si presenta, come i tesori che nasconde. Le sue bellezze sono inesauribili. Nella foresta l'uomo si sente veramente libero; quanto più vi si aggira e tanto più se ne innamora; quanto più la studia e tanto più si accorge che non riesce a conoscerla. Il suo mistero, sacro alla scienza, tanto appaga lo spirito del credente, quanto quello del filosofo indagatore.

Procedevamo a stento, sempre con la bussola alla mano. La foresta paludosa e selvaggia vegetazione di rotang, di Pandanus e di altre grandi erbe a foglie spinose rallentava sempre più il nostro progresso in avanti. Incontrai per la prima volta, frequente, la Nepenthes Rafflesiana (una di quelle singolari piante per le quali Borneo è così famosa) che portava grandi urne od ampolle piene d'acqua, riccamente macchiate di sanguigno e pendenti, come da un filo, alla estremità delle foglie.

Le prime notti passate nella foresta vergine furono un incanto indimenticabile. Non ero ancora abbastanza abituato alla vita del giongle, per poter fare tutto un sonno sulle scorze dure e sul piano ineguale del lankò. E nei momenti di veglia vedevo la foresta sotto un nuovo aspetto, non meno bello di quello del giorno. Le notti erano calmissime, non il più leggero alito muoveva una foglia.

La temperatura aveva quella giusta misura, che non rende avvertibile la sensazione dell'aria sul nostro corpo (27° c.)

Il silenzio profondo e solenne era solo interrotto, a lunghi intervalli, dal grido aspro e penetrante dell'argo. Fra le radure lasciate dagli alberi abbattuti appariva a lembi il cielo sereno, ma non del blu intenso di quello d'Italia; nello scintillio delle stelle, eguagliava quello che si vede nelle nostre notti.

L'aria oscurissima riluceva ad istanti di sottili e fantastiche fiammelle: erano i palpiti d'amore di enormi lucciole.

Per terra l'oscurità profonda della notte svelava tutto un mondo, che la luce del sole nascondeva durante il giorno. Ogni foglia morta, ogni ramo, ogni stecco putrescente era luminoso, e tramandava un fioco bagliore attraverso la sottile nebbia che si sollevava dall'alto strato di humus della selva. La pioggia del giorno aveva come acceso un fuoco in tutta quella rete di filamenti fangosi (i miceli) che, invadendo le spoglie abbandonate della grande vegetazione, lentamente le disorganizzava e le bruciava.

Un grosso tronco in decomposizione, a qualche passo di distanza da me, emanava una luce fosforica, che proveniva da certi funghi bianchi, appartenenti ad una specie di agarico. Un solo individuo di questo fungo, posato sopra un giornale, permetteva di leggerne i caratteri, tanto era intensa la sua luce, bellissima e bianchissima.


Solano Spinoso (Solanum sodomaeum)


SOLANO SPINOSO O POMO DI SODOMA (Solanum sodomaeum)

Piante provenienti da lontani lidi si trovano in paesi nuovi con condizioni ideali di insediamento tanto da eleggervi stabile dimora: tale è il caso del Solano Spinoso, introdotto nel XVIII secolo nell'Europa mediterranea dal Capo di Buona Speranza, appartenente alla famiglia delle Solanacee.

è un arbusto di tagli elevata, con fusto grosso, misurante 15 cm di diametro, formante cespugli ramosissimi e intricati, alti fino a 2-3 metri.

Le foglie sono di forma elittica, lobate. Il fusto, i rami, le foglie sono tutti protetti da una munita difesa di lunghi aculei robusti, di colore giallo. I fiori sono simili a quelli della patata, di un colore ceruleo-violaceo. Il frutto è una grossa bacca globosa e lucida, dapprima verde e screziata di bianco, poi a maturità giallo brillante, velenosa per via della solanina.

L'interno viene minato da insetti e ridotto in massa pulverulenta, che ha originato la leggenda del "Pomo di Sodoma", del frutto bello a vedersi ma il cui contenuto sarebbe polvere e cenere.

Il Solano vive in prossimità del mare, nei terreni sabbiosi, tra le dune o ai margini dei campi.


La Leggenda del Ginseng Urlante

 Info tratte da


Il Ginseng è una pianta molto usata in Oriente. Dalla sua radice si estrae una sostanza che ha qualità toniche, stimolanti, afrodisiache.

è chiamato "Panax", da Panacea, che nella mitologia greca indicava la Dea che guariva da tutti i mali.

Vi è una leggenda legata al Ginseng, legata al fatto che assume un aspetto antropomorfo: il suo nome vuol dire "pianta-uomo". Una leggenda coreana racconta che in tempi remoti gli abitanti di un villaggio udirono per tre notti di seguito dei lamenti provenire dalla foresta. Incuriositi da questa voce lamentosa e implorante di cui non riuscivano ad indicare l'origine, si inoltrarono nella foresta, dirigendosi verso il punto da cui sembrava provenire. Giunti dinanzi ad una grande pianta, capirono che i suoni giungevano da sotto terra.

Si misero a scavare e portarono alla luce una meravigliosa radice che aveva forma umana con braccia e gambe perfettamente delineate (come la Mandragora. https://erbemagiche.blogspot.com/2015/03/lurlo-della-mandragora.html Nota di Lunaria)  

Credettero che la piantina fosse una manifestazione di Tu Ching, lo Spirito della Terra, che la donava agli uomini per far conoscere i suoi poteri e la sua benevolenza verso gli uomini.

In Cina il Ginseng è chiamato "Radice del Cielo", e viene considerato il simbolo della congiunzione fra Terra e Cielo.

Pare che in Europa il primo a introdurla fu Marco Polo, ma con certezza furono gli Olandesi a portarla in Europa nel 1610.

In Corea il dono di una radice di Ginseng è ritenuto segno di stima e di riconoscimento.